Background Angus “Lo Sgozzalupi”
Povero Dunlandiano. Unico umano del gruppo e nientepopodimenoche il personaggio del più sfigato tra i giocatori.
Nasce nel piccolo villaggio di Drenan (scusate il riferimento al capolavoro di Gemmell), che arrancava ai bordi di una bellissima foresta, che col suo per niente pregiato legname forniva l’unica merce esportata dalla comunità . Piccoli campi e tanta fatica, che il nostro Angus non ha purtroppo potuto conoscere, erano la fonte di sopravvivenza di quell’accozzaglia di poveracci.
Il profumo delle patate lesse, delle patate speziate, delle patate arrosto, del purea di patate,non sono molti i ricordi del nostro antieroe di quel periodo della propria esistenza.
Proprio così: il fiorente e ricco borgo di Drenan non poteva non destare l’interesse del più grande clan di orchi della regione, i Ke-kufà, che in un istante, come un’onda su un castello di sabbia, hanno dissolto il sogno umano di onnipotenza e prosperità . Un solo sopravvissuto, un bambino di neanche sei anni, sepolto sotto i corpi di una coppia di umani e trovato dormiente da Xantippe (non fate quella faccia, è lei che si è attribuita quel nome), la Veggente Pazza.
Scorbutica, lunatica, probabilmente schizofrenica ma sicuramente fuori dal mondo ed ottima tra i cuochi delle sue genti, Xantippe prese il Angus bambino sotto la sua non profumata ala protettiva. Ci volle molto prima che pochi lo accettassero, il suo spirito fu forgiato da magli fin troppo realistici e le sbronze si accumularono a ben giovane età . Niente da dire, Angus ha potuto godere di una educazione ben privilegiata tra gli Uruk-Ke-Kufà.
Dopo circa otto anni di insulti, botte, sbronze, avances sessuali (almeno quelle da parte di maschi fortunatamente impedite dalla madre, mentre quelle da parte delle femmine: non sei certo il più bello tra gli orchi, approfittane figlio mio FALLO!) finalmente venne riconosciuto ufficialmente adulto con il nome di Kaznut (uomo belva) e tatuato del teschio umano rotto e cornuto simbolo del clan dopo il rito di iniziazione più severo della storia degli orchi. Una grande soddisfazione, quasi un onore non poter essere chiamato snaga in pubblico, poter partecipare alle sortite e spargere terrore e morte. Purtroppo tutti i sogni di gloria e di potere vennero spazzati via fin troppo presto.
Era la vigilia del mio primo combattimento e mi stavo sbronzando con alcuni di quelli che mi mostravano amicizia, rispetto o paura. Venivo osservato con grande orgoglio da una madre solitaria accucciata al calor del fuoco. Quanto affetto provavo per lei in quel momento, quanta ammirazione e rispetto, lei era mia madre, l’unica di cui avessi ricordi piacevoli. E quanta tristezza poco dopo nel tenere il suo corpo straziato nel vedere il rosso del sangue, nello scorgere il bianco del cranio e nel cercare di trattenere il grigio cervello. Quanto veloce può essere il fato negli occhi di un figlio. Veloce come una spietata cavalleria umana. Riflessi di spade, di squallide e lustrate armature. Era la mia prima occasione di far vedere la forza di Kaznut in battaglia ma mi sono accorto troppo tardi di quel che accadeva: troppo buio e troppo inebriato dalla birra prima, costernato e privo di forze dopo nel tenere tra le braccia una madre autoritaria ma piena di attenzioni. Fui svegliato dal mio stato catatonico da una faccia rugosa. La bocca si muoveva e forse pure sussurrava circondata da una curata barba grigia, non sentivo niente. Gli occhi verdi coronati da sopracciglia nere mi fissavano con tristezza.
Anche questa volta nessun sopravvissuto. Tutti morti. Per carità non che me ne fregasse molto, ma alcuni sarebbero potuti essermi utili ed altri mi erano simpatici.
Era giorno fatto ed una pira stava morendo ad una ventina di metri da me.